Negli anni ’80, Alfonso Picone Chiodo, unitamente ad altri amici, iniziò a percorrere in lungo ed in largo, molte delle fiumare Aspromontane, di entrambi i versanti ionico e tirrenico. Si iniziava ad intraprendere il percorso escursionistico da valle, risalendo e superando faticosamente e pericolosamente enormi massi, pozze, scivoli, laghetti; alcuni ostacoli però, risultavano davvero insormontabili, delle volte infatti, alte pareti di 70 metri e oltre, sbarravano il passo e si era costretti per forza di cose di aggirarle. Pertanto si risalivano ripidi ed estenuanti crinali o costoni, per poi ridiscendere più su, al disopra della cascata. Così facendo però, si rinunciava a percorrere integralmente le verticali alte e i suoi tratti a canyon più impervi, dove si nascondevano altre suggestive e spettacolari cascate, angoli incontaminati di Aspromonte.
Questi primi “esploratori” tuttavia non avevano cognizioni tecniche e attrezzatura idonea per fare del vero torrentismo ed inoltre l’intento principale di quegli anni era la realizzazione di “imprese” che potessero richiamare l’attenzione dei media nazionali su di una montagna conosciuta solo in negativo.
A metà degli anni 90, grazie anche all’entusiasmo di Natale Amato, Pino Iaria, Peppe Trovato ed altri amici , si iniziarono a portare avanti alcune tipologie sportive in Aspromonte e all’interno del CAI di Reggio Calabria, come lo sci di fondo escursionistico, lo scialpinismo, il torrentismo appunto, ed in ultimo, ma non per importanza, grazie ai contatti di Alfonso Picone CHiodo con la vicina Puglia la “creazione” di una stazione di Soccorso Alpino in Aspromonte.
Si cominciò quindi, muniti di attrezzatura alpinistica, imbrago, casco, chiodi, moschettoni, martello da roccia ecc., a scendere i torrenti, anziché risalirli, praticamente seguendo il loro naturale corso d’acqua. Le alte pareti così, una volta attrezzata con i chiodi la sosta, venivano discese.
Di lì a seguito il Furria nel 96, “complice” il suo facile accesso, in quanto non necessita di fuoristrada per l’avvicinamento, e il suo percorso relativamente breve, ha fatto sì che venisse percorso negli anni da numerosi soccorritori Pugliesi, Calabresi, Lucani e Siciliani, dalle sezioni CAI principalmente di Reggio Calabria e Catanzaro, da associazioni Siciliane, dai VVff per esercitazioni, ecc.
Le seconde gole, All’interno del Parco Nazionale d’Apromonte, le oramai famose cascate Maesano, che in data imprecisata, furono attrezzate con viti e anelli resinati, probabilmente da una associazione Messinese.
Quindi a seguire la forra del Butramo. A quei tempi, in Aspromonte nessuno era in grado di dare informazioni esatte su queste impervie zone. Nei primi anni 90, ci fù un tentativo da parte di alcuni soci del CAI di Catanzaro, capitanati da F. Bevilacqua di percorrere integralmente il Butramo, da Monte Cerasia (1.600 slm) alla fiumara Bonamico (200 slm ), ma il primo tentativo fallì a causa probabilmente, delle informazioni errate ricevute. Il gruppo uscì l’indomani dal canyon del Butramo nella parte alta, risalendo Punta Cancelliere, Acatti e Afreni, fino al casello di Cano. Nel ‘96, si riorganizza un remake con Bevilacqua, Picone, Festa ed altre sei amici con pernottamento nei pressi del casello di Cano, in compagnia di Fedele Stranges. In questo modo, si intraprendeva il percorso la mattina presto del sabato. Il venerdì pomeriggio si partiva in quegli anni, da casa Stranges a S. Luca, con pittoreschi camion utilizzati per condurre i pellegrini alla Madonna della montagna di Polsi, lungo le piste polverose. Il sabato, una volta “dentro” al Butramo una serie di imprevisti, compreso un pomeriggio alluvionale, lì costrinse ad un ulteriore pernotto di emergenza stavolta, in gola naturalmente. Singolare l’espediente adottato da Alfonso Picone per supplire al fatto di non essere dotato di muta contro le fredde acque: Cospargersi il corpo con grasso di foca (proprio quello utilizzato per gli scarponi..). Risultato, una inevitabile scia di mosche seguì a lungo il malcapitato.
L’uscita dal Butramo, come da prima spedizione anni 90, avvenne sempre nella parte medio alta, stesso ripido costone e solo dopo 6 ore circa si arrivò a Cano,…un altro tentativo fallito che alimentò il mito Butramo in quegli anni, ma che servì davvero per esperienza nelle future esplorazioni.
Nel 97, finalmente fu espugnato, il mito Butramo, attrezzandolo con chiodi da roccia in esplorazione. In quegli anni non usavano ancora il trapano, né tanto meno la muta di equipaggiamento… quantomeno in Aspromonte !!
Nel 1998 si organizza la discesa del S. Agata, nei pressi di Gambarie, sopra Cardeto, attrezzata sempre con chiodi o utilizzando dove possibile ancoraggi naturali, tronchi di alberi.
Nel 1999, tocca alle gole del S.Leo, a dire del Trovato le più belle gole d’Aspromonte, denominate “le gole di montagna” siamo nel cuore del Parco Nazionale d’Aspromonte, dove 11 cascate si susseguono in rapida successione una dopo l’altra. Sempre nel ‘99, furono attrezzate il solo salto delle cascate Forgiarelle con due spitfix.
Negli anni a venire, vengono attrezzate la forra del Mangusa, l’affluente del Furria, il Campolico, dapprima la parte bassa denominata “Butramino”, sempre da Trovato e Iaria Diego Leonardi e Natale Amato, attrezzandolo con spitfix.
Nel 2002, per merito di Amato e Iaria, furono aperte ed attrezzate le prime “gole fluviali” con presenza di qualche piccola verticale, l’Allaro.
Nell’agosto del 2002, un gruppo del CAI di Giarre (CT), guidati da Diego Leonardi, prova a scendere il Ferraina attrezzando le prime pareti con spit fix, con alcuni frazionamenti in parete, per permettere la risalita su corda fissa, in quanto intenzione del gruppo di Catanesi era risalire e tornare sul luogo di partenza, ma non completarono la discesa, per problemi di metraggio corde, la cascata del Cicutà di 70m, rimase inviolata, ma lo scenario selvaggio del Ferraina, incantò sicuramente. Così nel 2005, Trovato, Amato, Iaria, Repaci, ed altri amici, ridiscesero il Ferraina integralmente per la prima volta sotto cascata, con soste “spittate”. Un ambiente incredibile di rara e selvaggia bellezza. Alcuni piccoli problemi insorsero, durante la lunga via di uscita dal torrente, che avvenne di notte.
In verità durante la discesa integrale del Ferraina e dell’Aposcipo, si notavano dei vecchi e arrugginiti chiodi da roccia, infissi nelle fessure in posizione fuori cascata di chiara derivazione alpinistica, infatti dopo lunghe “indagini”, grazie a Claudio Fortunato, alpinista laziale, si è risalito ad una prima esplorazione fuori cascata da parte di un terzetto di alpinisti Laziali.era il lontano 1981.
L’apertura di diverse ed interessanti gole, iniziava ad incuriosire esperti a carattere nazionale, forristi del calibro di Pino Antonini, iniziavano ad effettuare incursioni torrentistiche in Aspromonte, accompagnato anche da tanti amici.
Negli anni successivi, furono aperte ed attrezzate le cascate del Marmarico da Diego Leonardi e Natale Amato (2004), ancora dopo l’Aposcipo, dopo un primo tentativo, non riuscito a causa del maltempo, avviene la discesa integrale, dalla cascata Palmarello di 80 metri, successivamente completata dalle cascate a valle dell’Aposcipo (luogo celato), con Repaci, Malara E. M. e D’Arrigo. Quindi negli anni a venire e siamo intorno al 2007, è la volta delle cascate Linnha e Castanò, percorse da alcuni soci CAI di Reggio Calabria, tra cui Peppe Romeo, utilizzando ancoraggi naturali fuori cascata e, successivamente attrezzate.
Negli ultimi anni, l’associazione “Aspromontewild”, insieme a Pino Antonini e Gigliola Mancinelli, ha continuato il lavoro di esplorazione dei canyon impervi dell’Aspromonte, attrezzando e valorizzando sconosciute gole, come il Nessi (Ciminà), il S.Pasquale (Bova), il Glicorace a Roccaforte del Greco, il Chalonero sempre nell’area grecanica, caratterizzato da un alta parete di 90 metri frazionata dal D’Arrigo a circa 45 metri di altezza. L’attività esplorativa non si arena sul versante ionico del massiccio, ma il team forra di Aspromontewild, in collaborazione con Antonini, attrezza anche i canyon del versante tirrenico Aspromontano, che nei primi anni storici del torrentismo in Aspromonte, furono trascurati a dispetto dei canyon della parte ionica. Quindi è la volta del Barvi, delle numerose cascate del Galasia, del Calivi o Galati, con le cascate Teresa e Paola, parte alta e bassa, il torrente Jamundu, che parte con la famosa cascata Mundu per terminare immettendosi sul Barvi con un ultimo salto di 90m, frazionata a circa 30 metri sotto la partenza della verticale, fino a ridiscendere un paretone in appoggio, un vero angolo amazzonico.
L’associazione Aspromontewild, con una frequenza media di percorrenza di circa 40/50 forre per stagione, da marzo a novembre, programma alcune impegnative uscite, per l’osservazione del territorio, per verificare lo stato delle soste, dei dati in generale come i cambiamenti morfologici del terreno, la presenza di specie animali di grande interesse, e la stessa percorribilità.
Tutte le forre e i percorsi canyoning sono comunque catalogate all’interno del catasto forre sul sito nazionale dell’Associazione italiana Canyoning.